INTRODUZIONE
ALLA VULCANOLOGIA
La fusione
delle rocce nel mantello è dovuta principalmente a 3 cause: depressurizzazione
adiabatica, introduzione di acqua, riscaldamento locale.
La depressurizzazione adiabatica produce la maggior quantità
di magmi e si verifica nelle zone in cui vi è convezione. La
fusione parziale della crosta può essere qualcosa di simile.
A causa della perdita di calore con le rocce incassanti valgono il riscaldamento
locale e la depressurizzazione adiabatica.
Il mantello astenosferico è un fluido ad altissima densità,
che permette la convezione. Questa si può instaurare solo in
zone particolari perché la forza trainante è una differenza
di temperatura tra due zone, che se raggiunge un certo valore attiva
la convezione. Questo si realizza più facilmente al di sotto
degli oceani, perché la crosta oceanica è poco spessa
e perciò mantiene meno bene il calore, non isola.
Quando il gradiente incontra il solidus inizia il fuso. In realtà
gradiente e solidus non si incontrano mai, ma sono molto ravvicinati.
Una porzione di mantello coinvolto in una cella convettiva può
incontrare il solidus e tra i cristalli iniziano a formarsi le prime
gocce di fuso, che fa diminuire la viscosità e la densità,
e fa quindi aumentare un pochino la velocità di risalita. Così
la porzione di mantello entra sempre più nella zona tra solidus
e liquidus e la percentuale di liquido aumenta. Ma fino a quando? Il
fuso riesce a separarsi dal mantello in risalita (diapiro) che ascende
più lentamente?
Qui sopra vediamo una porzione del diapiro in risalita al microscopio.
Sono rocce metamorfiche. Abbiamo tre cristalli: la fusione inizia nel
punto triplo e si propaga nelle discontinuità tra i cristalli
(barrette grigie). Il fuso formatosi non può andarsene fino a
quando i canali non sono abbastanza grandi da farlo uscire. In generale
il fuso si separa se la forza di risalita diventa maggiore delle forze
di attrito che lo tengono legato al diapiro, e in questo caso si parla
di stato di segregazione magmatica, che dipende comunque da varie cose.
Nel punto triplo c’è la temperatura di fusione più
bassa. I tre cristalli hanno assunto questa configurazione per il fenomeno
della blastesi (struttura cristalloblastica). Per avere la fusione i
tre cristalli devono essere diversi. I tre cristalli non fondono tutti
allo stesso modo: uno può fondere più degli altri e quindi
diminuire di più rispetto agli altri, che risultano quindi relativamente
più abbondanti.
Alla fine i cristalli tendono a separarsi. I bordi netti non vi sono
più perché le varie facce vengono attaccate in modo diverso.
Il fuso presente ormai può andarsene.
Quando il fluido inizia a formarsi e ma man mano che aumenta, cambia
chimismo reagendo con i minerali della parte solida con cui si trova
ancora a contatto. Poi una volta che il magma si è separato non
reagisce più con i cristalli in cui stava e quindi trasporta
preziose informazioni sulla profondità di partenza e sulla composizione
del solido iniziale.
Magma primario: composizione in equilibrio con quella del mantello.
Non troviamo quasi mai magmi primari, ma più o meno primitivi.
Il fuso può andarsene avendo ancora la stessa composizione (paragenesi)
del mantello ascendente. In questo caso allora sono rimaste le stesse
fasi, e posso avere ancora una fusione (max altre 2 – 3 volte).
Se però nella prima fusione una fase è scomparsa dal mantello,
magari perché si è fusa più facilmente delle altre,
non posso più avere fusione.
Il mantello può fondere in un intervallo che va dal 5 al 30%.
Dallo stato di segregazione magmatica in poi il fluido no reagisce più
con la parte solida. Si comporta come sistema a se stante.
Nel modo sopra descritto si generano i magmi che portano alla formazione
delle dorsali oceaniche.
Il mantello è stato interessato nella storia geologica da fusioni
diversificate. Inoltre dove c’è subduzione il mantello
assume caratteristiche chimiche un po’ variate. Il mantello è
quindi chimicamente abbastanza omogeneo, ma vi sono delle diversificazioni.
Minerali caratteristici del mantello sono le olivine, l’ortopirosseno
e il clinopirosseno. Rimane dell’alluminio che entra a formare
minerali diversi, come i plagioclasi, che però è stabile
solo fino a profondità basse (30 Km) nella cosiddetta zona del
mantello a plagioclasio. Troviamo di seguito la zona del mantello a
spinello e poi il mantello a granato.
La depressurizzazione adiabatica, fondamentale nelle zone in cui si
verifica la convezione, è favorita nelle zone in cui opera tettonica
estensionale. Uno dei siti principali di vulcanismo sono infatti le
dorsali oceaniche.
Rialzo termico localizzato. Siamo riusciti grosso modo a trovare un
gradiente medio della temperatura scendendo in profondità nella
Terra, e si è visto che questo gradiente non porta mai nel mantello
a fusione stabile. La fusione può invece avvenire con un rialzo
termico localizzato, difficilmente dovuto a sacche di materiale radioattivo,
ma probabilmente a campi magnetici profondi. In questo modo si generano
i punti caldi.
I punti caldi sono zone abbastanza ampie la cui distribuzione non segue
un particolare criterio. In una certa zona si ha una concentrazione
di calore che dilata le rocce del mantello, innescandone la risalita.
Contemporaneamente nel mantello stesso si mobilizzano i minerali più
incompatibili (anche volatili), che possono essere intracristallini
o intercristallini, e si muovono con una diffusione. I potenziali elementi
incompatibili sono tanti. Nella storia geologica non si sono verificati
molti punti caldi. La parte dilatata del mantello e il flusso di elementi
incompatibili salendo si arricchiscono, e si può arrivare alla
fusione della roccia, che una volta fusa assorbirà gli elementi
incompatibili e poi risalirà in superficie.
I basalti che si originano in queste condizioni sono i basalti alcalini,
che però non sono necessariamente generati solo dai punti caldi.
Non c’è corrispondenza biunivoca tra le due cose. Lo stesso
vale per il MORB, che non necessariamente implica la dorsale.
Introduzione di volatili. Nella crosta se non ho volatili non fondo
nulla. Nel mantello se introduco volatili (soprattutto acqua) si arriva
bene alla fusione. Sul comportamento dell’acqua nei magmi si sa
molto, mentre molto meno si sa sullo zolfo, che è difficile da
studiare. Acqua, zolfo e anidride carbonica sono i principali gas emessi;
gli altri sono in quantità minori, ma è bene ricordare
elio e radon, importanti per le implicazioni riguardo al rischio vulcanico.
L’acqua in tutte le rocce abbassa il punto di fusione, perché
è un componente aggiunto e tende a formare legami con alcuni
degli elementi dei minerali, che quindi divengono non più stabili
e possono fondere più facilmente. Per avere la fusione mi basta
avere una piccola percentuale d’acqua.
Più plausibile rispetto a quella dell’acqua liberata è
l’introduzione di acqua nel mantello con le zone di subduzione.
Possiamo fare l’esempio di una zolla oceanica che sottoscorre
ad una zolla continentale. La zolla oceanica è sottoposta a pressione
crescente (e vi si adegua), ma la diffusione termica è molto
lenta, quindi rimane a temperatura relativamente bassa. Le rocce subiscono
cambiamenti mineralogici. La crosta è formata, nella parte superificiale,
da basalti che hanno subito l’idrotermalismo. Inizialmente (stadio
preidrotermale), venendo a giorno, sono diventati vetrosi per il raffreddamenti
istantaneo a contatto con l’acqua. Il vetro è caratterizzato
da bassa energia reticolare (quella che lega le particelle in posizione
fissa). Così i basalti divenuti vetrosi possono essere attaccati
più facilmente e in meno tempo (idrotermalismo) trasformandosi
in minerali di bassa temperatura e pressione (500 – 70°C),
come il serpentino o le zeoliti, che contengono acqua (idrati). Anche
la porzione rimasta vetrosa ha acqua.
Sotto avrò uno strato di gabbro cristallino e sotto ancora il
mantello non fuso, peridotitico. Sopra a tutto si formano i sedimenti
(cartonatici profondi e argillosi), che vengono raschiati e formano
il melange o comunque tendono a non andare molto a fondo e poi a risalire
perché sono leggeri. Una parte comunque va sotto e porta acqua.
I basalti vanno per la gran parte sotto e subiscono metamorfismo, sputando
l’acqua per la compressione. I primi minerali che divengono instabili
sono i minerali zeolitici, che hanno l’acqua in forma H2O. Reagiscono
sputando fuori l’acqua. I minerali idrati con l’ossidrile
(fillosilicati e anfiboli) sputeranno l’acqua un po’ più
in profondità. Gli ultimi minerali a farlo saranno le miche.
Vi sono quindi dei livelli in cui l’acqua viene sputata fuori.
Vi sono comunque dei minerali stabili (come la flogopite), quelli magnesiaci
in generale, che sono in percentuale minore e che sputeranno l’acqua
solo in profondità.
L’acqua sputata dalle zeoliti arriva troppo poco in profondità
per provocare una fusione del mantello, ma lo metasomatizza (con il
metasomatismo si ha apporto di materiale al mantello, che comporta cambiamenti
nei minerali, ma sempre allo stato solido. Così ad esempio può
formarsi l’anfibolo, che non è un minerale del mantello).
La temperatura è bassa perché le rocce del mantello vicino
al piano di subduzione sono più fredde. I fluidi (acqua e nuovi
materiali che vanno in soluzione) risalgono verso zone relativamente
più calde. Parte dell’acqua risale fino alla crosta, dove
può riuscire a fondere qualcosa.
L’acqua che esce più in profondità o metasomatizza
(si formano gli anfiboli) perché le temperature sono ancora troppo
basse, oppure riesce a fondere. La prima parte di fuso che si fonde
è molto acida, perché la composizione che fonde prima,
bassofondente, è più ricca in silice rispetto alla roccia
di partenza (maggiore è la percentuale di legame ionico, maggiore
è la temperatura di fusione e viceversa con la percentuale di
legame covalente). A profondità maggiori l’acqua che se
ne va si porta dietro sempre più roba.
Si è quindi formato un plutoncino molto acido. Questo risale
leggermente, andando verso temperature crescenti, ma ancora troppo basse
per fare fondere il mantello al semplice contatto, e quindi abbiamo
nuovamente del metasomatismo perché comunque il mantello reagisce
con il fuso. Il plutoncino si consolida perché si arricchisce
di minerali ferromagnesiaci, cristallizzano dei minerali e nella parte
superiore si forma la flogopite (magnesio dal mantello, acqua e silice
dal plutoncino). Al termine del processo si liberano dei fluidi, che
possono ora, per la temperatura relativamente più alta, riuscire
a fondere il mantello. Il fuso che si forma dal mantello risale e può
arrivare in superficie.
I magmi calc – alcalini sono soprasaturi in silice, cosa che no
sarebbe possibile se non vi fosse l’acqua (l’acqua genera
sempre fusi più ricchi in silice rispetto al caso in cui non
sia presente). Gli alcali vengono dai volatili.
Il plutoncino rimane attaccato alla placca subducente e viene quindi
trascinato a profondità in cui la flogopite (breakdown) si scinde
in olivina e pirosseno, sputando l’acqua. La parte ricca di potassio
e alluminio fonde e si ha quindi la risalita di magmi ricchi di potassio.
I questo modo in superficie si può riconoscere una zonazione
magmatica andando dalla fossa verso l’interno della placca che
rimane in superficie.
Nei magmi calc – alcalini K diventa comparabile al sodio, nei
magmi profondi risulta predominante.
Nell’ambito dei basalti vanno distinte delle cose. Yoden fece
una classificazione dei basalti, suddivisi in base agli elementi maggiori
nell’ambito di un tetraedro.
Di = diopside (clinopirosseno); Qz = quarzo; Ol = olivina; Ne = nefelina
(NaAlSiO4); Opx = ortopirosseno; Ab = albite (plagioclasio).
Gli spigoli del tetraedro prendono il nome di giunti. A ogni numero
corrisponde un tipo di basalto: 1 = quarzo – toleiti; 2 = olivin
– toleiti; 3 = basalto alcalino.
Gran parte del basalto è fatto da clinopirosseno, plagioclasio,
ortopirosseno, olivina e feldspatoidi, più altri elementi minori.
Il diopside puro non esiste: nel sito M2 (coordinazione 8) posso avere
vari cationi (Ca, Na, Mn, Fe2+, Mg) e così nel sito M1 trovo
(Mg, Al, Ti, Cr, Fe2+, Fe3+). Nell’ambito dei plagioclasi solo
l’albite è rappresentata, perché nello studio dei
sistemi sia l’albite che l’anortite hanno un comportamento
molto simile. Conviene mettere l’albite perché ad uno degli
estremi del tetraedro c’è la nefelina, sottosatura in silice,
aggiungendo alla quale 2SiO2 ottengo proprio l’albite. Non è
possibile fare ciò con l’anortite. Quello che avviene nel
giunto Ne – Qz è importante per le proprietà del
basalto.
Trovare minerali con vari gradi di saturazione in silice ci dice quanta
silice libera c’è nel magma. Calsilite®leucite®K
– feldspato: otteniamo questo aumentando la silice. Nel termine
sottosaturo nefelina sono rappresentati tutti i feldspatoidi, come anche
la calsilite.
Poiché il mantello è costituito da olivina, questa entra
nel fuso. Si considera l’olivina con Mg perché è
più facile studiarla (Mg2SiO4). È un minerale sottosaturo;
se gli aggiungo SiO2 ottengo l’ortopirosseno, che quindi giace
a metà tra olivina e quarzo.
Nel diagramma si distinguono dei piani che dividono il tetraedro in
tre parti; clinopirosseno e plagioclasio sono comuni ai tre campi, quindi
non sono discriminanti. Ciò comporta che tutti i basalti che
cadono nel campo 1 sono formati da ortopirosseno, saturo in silice,
più quarzo (silice libera) e quindi sono sovrasaturi in silice
e prendono il nome di quarzo – toleiti. Poi ho quei basalti che
hanno un minerale saturo e uno sottosaturo in silice, quindi si trovano
al limite della saturazione e si chiamano olivin – toleiti. Nel
campo 3 infine trovo l’olivina e la nefelina, entrambe sottosature,
e quindi i basalti che ricadono in questo campo sono sottosaturi a loro
volta e si chiamano semplicemente basalti.
All’interno dei tre campi posso avere gradi diversi di saturazione
o sottosaturazione, non esistono demarcazioni nette.
Il piano Di – Ab – Opx prende il nome di piano di saturazione.
L’altro è il piano critico di sottosaturazione, critico
perché mentre i basalti possono passare da 2 a 1 o da 1 a 2 (ad
esempio pei differenziazione, frazionamento dei cristalli), cioè
possono passare il piano di saturazione, non è possibile passare
da 2 a 3 o da 3 a 2, cioè passare il piano critico di sottosaturazione.
Studi a pressione hanno fatto vedere che da materiali come quelli del
mantello man mano che aumenta la pressione si generano magmi più
sottosaturi in silice. Tutto ciò che è più saturo
in silice ha origine a profondità minori e viceversa. A una certa
profondità nel mantello, quindi, si generano basalti alcalini.
I più sottosaturi tra questi sono quelli che si generano con
gradi di fusione parziale minore. Quelli che si originano più
in superficie nel mantello cadono nel campo 2. Anche in questo caso
ha influenza il grado di fusione parziale: se questo aumenta però
in questo caso il magma diventa più sottosaturo, diversamente
a prima.
Pressione e grado di fusione parziale controllano quindi la composizione
primaria dei basalti. In seguito avviene il frazionamento, che modificherà
ulteriormente la composizione. Come basalto primario è molto
difficile che si abbia quello Qz – toleitico (con quarzo normativo),
perché il mantello è fortemente sottosaturo in silice.
Nel campo 1 trovo i basalti più differenziati. Verso l’angolo
con il quarzo è molto difficile che ci vado. Il piano critico
di sottosaturazione cessa di essere critico quando sono ad alte pressioni.
È a basse pressioni e quindi a livelli crostali che è
critico. I basalti delle dorsali si originano nel mantello, ma nella
parte superiore, a bassa pressione, e quindi ricadono nel campo 2. Possono
poi essere spostati più verso l’olivina o l’ortopirosseno
a seconda del grado di fusione parziale. I MORB sono quindi olivin –
toleiti. Per frazionamento si può poi arrivare al campo 1. Fusione
parziale a profondità superiore la ottengo con un rialzo termico,
quindi mi trovo nel caso dei punti caldi. Qui trovo dei basalti alcalini
(campo 3) come ad esempio quelli delle Hawaii. Un basalto alcalino può
per frazionamento diventare tranquillamente olivin – toleitico.
Nei piani di subduzione delle cose non tornano. Da varie cose si vedeva
che erano abbastanza profondi per generazione, ma si trovavano nel campo
2 e evolvevano nel campo 1: come mai? Si sono fatti esperimenti con
l’acqua e si è visto che in ogni condizione sperimentale
se metto dell’acqua avviene che: 1) si abbassa molto la temperatura
di solidus (questo per qualsiasi materiale roccioso); 2) a partire da
qualsiasi materiale il primo liquido che si forma è più
ricco in silice che se avessi fusione anidra. E infatti nelle zone di
subduzione abbiamo l’acqua. Rispetto alle olivin – toleiti
del MORB quelle delle zone di subduzione sono proiettate verso l’angolo
del plagioclasio, che è molto ricco di alluminio. Queste olivin
– toleiti prendono il nome di HAB (basalti ricchi di alluminio)
o calcoalcalini.
Per frazionamento (differenziazione) i termini primitivi originano tre
diverse serie che classifico in base chimica.
Vi sono prodotti poco cristallizzati se arrivano caldi (hanno ceduto
poco calore), e sono fuso praticamente puro. In questo caso il raffreddamento
arrivati in superficie è molto rapido e questo fa si che il magma
vetrifichi. Il vetro non lo posso classificare mineralogicamente, devo
fare l’analisi chimica.
TAS (total alcaline silical) consiste nel graficare il contenuto in
alcali con quello in silice. O l’uno o l’altro o ambedue
sono elementi che aumentano durante la differenziazione. Nelle analisi
chimiche delle rocce c’è anche il LOI, che sarebbero i
volatili, che vengono espulsi per riscaldamento. La silice aumenta molto
se nella fase originaria c’è la magnetite. Questo diagramma
mi distingue delle ambientazioni, e vi si trovano 15 campi, ognuno dei
quali rappresenta una roccia.
Abbiamo quindi tre serie, la subalcalina (in basso), l’alcalina
(al centro) e l’ultralcalina (in alto). Nella subalcalina il contenuto
in alcali è inferiore o uguale al contenuto in silice, che quindi
è in eccesso per formare minerali che contengono alcali indi
per cui nelle rocce più evolute trovo il quarzo (tridimite).
Nella alcalina ho silice a sufficienza per saturare gli alcali, ma non
quarzo in eccesso. Nella ultraalcalina gli alcali sono in eccesso rispetto
alla silice e quindi trovo i feldspatoidi, che sono sottosaturi.
Dai vari tipi di basalto primario si possono sviluppare queste tre serie.
La subalcalina è divisa in due sottoserie, toleitica e calcoalcalina,
che devo distinguere perché sono relazionate a due ambienti diversi.
Basalti – Andesiti basaltiche – Andesiti – Daciti
– Rioliti: la sequenza è questa. Nel caso della dorsale
oceanica posso trovare l’islandite al posto dell’andesite.
Per distinguere le due sottoserie vi sono vari elementi, come diagrammi
Si – Fe/Mg. Nelle vicinanze delle rette dei grafici vi sono delle
indeterminazioni.
Un grafico vale l’altro se sto in campi distinti. Se sto vicino
ad una retta o curva è meglio farli tutti e tre.
Nella serie alcalina non ho quarzo libero. Alla fine della serie ho
dei feldspati alcalini. Gli alcali sono 2: sodio e potassio. Se la roccia
si origina per differenziazione da un basalto che deriva da un mantello
in cui non c’è stata interferenza crostale è sodica;
viceversa se c’è stata una qualche interferenza crostale
è più potassica, maggiormente quanta più interferenza
crostale c’è stata. Per distinguerle vi sono altri diagrammi.
Se il contenuto in potassio è maggiore del contenuto in sodio
allora la roccia è decisamente potassica. Frequente è
la relazione di questo tipo di roccia con un piano di subduzione (calcoalcalino
o alcalino potassico) perché il sodio va via prima in questo
caso. Se Na –2% > K la roccia è mediamente potassica.
Se Na –2%<K<Na allora la roccia è sodica. I punti
caldi generano magmi solidi o debolmente potassici, quest’ultimo
caso se la crosta continentale attraversata è grande, ma il magma
originario è sodico.
La successione è Trachi basalti – Shoshoniti – Latiti
– Trachiti per la potassica e Hawaiiti – Mugeariti –
Benmoreiti – Trachiti per la sodica.
Nella serie ultralcalina trovo i feldspatoidi e la successione è
tefriti – Fono tefriti – tefro fonoliti – Monoliti
– Basaniti. Anche in questo caso possono essere sodiche o potassiche.
Le foiditi sono rocce a feldspatoidi fortemente sottosature in silice
che non cadono in nessuna delle tre serie, come le lecititi.
Il basalto lo devo appellare con aggettivi che già mi informino
circa la genesi e la serie evolutiva che da lui può derivare.
Devo fare la norma: trasformare i chimismi dell’analisi in minerali
anziché ossidi. Si divide la percentuale di ossido per il peso
molecolare, ottenendo così le moli. Poi formiamo i minerali,
che sono stabiliti. Sono Qz, albite, anortite, diopside, Opx (enstatite,
ferrosilite), Olivina (forsterite, fayalite), magnetite, ematite, ilmenite,
apatite.
NaAlSi3O8«nNa2O+Al2O3+6SiO2: ho n moli di sodio, allora devo prendere
n moli di Al2O3 e 6*n di SiO2 per formare l’albite. Quando ho
consumato tutti gli ossidi controllo la silice utilizzata. Se ne ho
usata troppa devo desilicizzare qualche minerale saturo formato, che
così cambia, seguendo un certo ordine. Fino a che arrivo ad avere
utilizzato tutta la silice ma non di più. Nella norma quindi
mi compaiono minerali sottosaturi. Se invece la silice è in eccesso
si forma il quarzo.
Ancora sulla norma. Si fa l’analisi chimica con gli ossidi. Il
vetro è un fuso sovraraffreddato, in fase metastabile. Si fa
anche l’analisi con i minerali, a partire dagli ossidi. I minerali
vengono infatti costruiti dagli ossidi, su base anidra. I volatili (LOI)
non vengono considerati. Bisogna utilizzare tutti gli elementi nella
percentuale in cui si trovano, non contando la silice.
Questo metodo serve per comparare diverse rocce tra di loro.
nCa+nMgO+n2SiO2=CaMgSi2O6: n dipende dall’analisi chimica, che
mi dice la quantità di ogni elemento e quindi quante moli devo
prenderne. Sistemati tutti i minerali vedo la silice consumata rispetto
a quella iniziale. Se ne ho consumata meno della quantità iniziale,
quindi se ne avanza, troverò il quarzo normativo, che magari
in sezione sottile non lo vedo, ma lo troverei se cristallizzasse tutto
in condizioni standard. Posso non trovare il quarzo, ma comunque un
minerale soprasaturo. In un basalto sto comunque troppo sotto in silice
per avere il quarzo libero, e la silice in eccesso va in minerali che
la sopportano. Se invece vedo che ho consumato più silice di
quanta ne avevo inizialmente allora dovrò desilicizzare dei minerali,
come l’ortopirosseno (il primo che desilicizzo), che diventa olivina.
Se scompare tutto l’ortopirosseno ma ho ancora consumato troppa
silice passerò a desilicizzare l’albite, che diventa nefelina.
Se ho ancora consumato troppa silice e tutta l’albite è
desilicizzata passerò al K – Feldspato, che diventa leucite,
e così via. Alla fine arriverò a non essere più
in difetto di silice. Prima o poi arriverò alla saturazione.
Più si procede in questi termini più aumenta la sottosaturazione.
Indice di differenziazione: mgd = MgO/MgO+FeO
Più basso è l’indice di differenziazione, più
differenziato è il magma e viceversa.
Le rocce calcoalcaline hanno, a parità di silice, più
potassio dei MORB. Se non c’è né quarzo né
ortopirosseno (al limite solo come pasta di fondo) normativi allora
sto nei basalti alcalini. Appurato ciò devo studiare ulteriormente
per distinguere la relazione tra potassio (serie potassica) e sodio
(serie sodica). Tipica delle zone di subduzione è la serie calcolacalina
più la serie alcalina francamente potassica, mentre punti caldi
che attraversano la crosta continentale possono dare una serie mediamente
potassica. La serie sodica è caratteristica dei punti caldi oceanici
(OIB). Nella serie ultralcalina compaiono sempre i feldspatoidi, anche
nei termini più primitivi.
Dal Vesuvio fuoriescono delle tefriti; dai Campi flegrei latiti –
shoshoniti.
Densità e viscosità influenzano il movimento dei magmi.
La differenza di densità tra fuso e rocce circostanti da la spinta
verso l’alto, la viscosità da la profondità di ristagno,
perché rallenta la risalita, con conseguente perdita di calore
e dirette conseguenze. C’è quindi un gioco tra viscosità
e densità.
In un fuso silicatico ha molta importanza nei volatili l’acqua
(90% dei volatili), poi l’anidride carbonica e lo zolfo. F, Cl
e gas nobili sono al livello di parti per milione. I gas nobili sono
importanti perché i loro rapporti isotopici ci dicono da dove
vengono questi gas (soprattutto elio e radon). L’acqua, l’anidride
carbonica e lo zolfo hanno un ruolo importante nelle eruzioni esplosive.
La figura qui sopra ci dice che ho l’equilibrio quando su 2 ho
una pressione che lo spinge a superare la barriera e ad entrare nella
parte 1. Quanto più aumenta la pressione tanto più il
volatile va dentro 1. Ne consegue che man mano che scendiamo in profondità
la quantità massima di volatili che può contenere un magma
aumenta, perché aumenta la pressione. Questo comunque non vuol
dire che il magma abbia per forza molti volatili.
Per gli stessi motivi un magma sottosaturo in acqua risalendo può
arrivare alla saturazione o superarla. A questo punto inizia la vescicolazione,
e questo è il preludio di una eruzione esplosiva, che si può
verificare solo se vi sono i volatili. Se questi non vi sono si avrà
una eruzione effusiva.
L’acqua si solubilizza in due forme, H2O e OH-, in virtù
delle forze di campo dei vari elementi del magma. Ciò vale per
tutti i magmi. Quello che varia da magma a magma è la quantità
d’acqua e delle due singole specie. Tanto più il magma
è ricco in alluminio e alcali tanta più acqua entra nel
magma.
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