INTRODUZIONE
ALLA VULCANOLOGIA
L’alluminio
può creare solo tre legami dello stesso tipo, mentre un quarto
può farlo con un legame dativo. H+ attacca per primi Na e Ca
e l’acqua (ossidrilica) va a saturare la carica in eccesso che
ha ora il silicio. Quello che avviene è una depolimerizzazione.
Come conseguenza aumenta la conducibilità elettrica e diminuisce
la viscosità. La densità diminuisce solo un po’.
Entrerà tanta acqua quanti saranno gli ioni alcalino –
terrosi presenti. Finiti gli ioni alcalino – terrosi l’acqua
è molto difficile che si solubilizzi in questo modo. La solubilità
è grande a basse pressioni. Oltre un certo livello di pressione
l’acqua ossidrilica rimane costante e aumenta molto quella molecolare,
perché a basse pressioni l’acqua molecolare è troppo
grande per entrare nei vuoti. A pressione maggiore invece l’acqua
molecolare oltre ad essere più piccola entra più facilemente
proprio per la pressione più alta che su di lei si esercita.
Per tutti i magmi, ad alta pressione, la solubilità tende ad
essere simile. A basse pressioni invece è molto diversa. Ai fini
dello studio dell’esplosività ci interessa lo studio della
solubilità a basse pressioni.
L’anidride carbonica può entrare come ione carbonato o
come CO2 molecolare. La quantità e la qualità di anidride
carbonica che entra in soluzione dipendono dal chimismo del magma. Magmi
acidi molto polimerizzati hanno l’anidride carbonica molecolare;
magmi poveri in silice hanno l’anidride carbonica come ione carbonato.
Nei magmi intermedi entra sotto entrambe le forme. La CO2 molecolare
crea legami deboli col fuso, non ne abbassa la viscosità.
Lo ione
carbonato si unisce o agli ioni alcalini o agli alcalino – terrosi.
Nei basalti se avviene ciò si spezzano i legami ponte in cui
vi sono tali ioni (vengono tolti) e quello che rimane è un ossigeno
ponte. La conseguenza è un aumento della polimerizzazione. Il
fuso risulta più viscoso. Nei fusi riolitici non si verifica
aumento di viscosità. La percentuale di anidride carbonica in
soluzione in un magma riolitico è di un ordine di grandezza inferiore
alla percentuale d’acqua.
Dello zolfo sappiamo poco. La forma sotto cui compare dipende dalla
pressione parziale di ossigeno, che può dipendere dal chimismo
silicatico (intrinseco) del magma o dalla quantità di volatili
presente (estrinseca). Fugacità intrinseca si ha nei magmi alcalini.
In questi magmi abbiamo una grossa quantità di donatori, la fugacità
è alta e lo zolfo va sotto forma di solfato. Nei magmi riolitici
lo zolfo sarà sotto forma di solfuro perché vi sono più
accettori e meno donatori. Se l’acqua e l’anidride carbonica
sono insieme la solubilità dell’uno e dell’altro
varia.
Potenziale
chimico. All’equilibrio il potenziale chimico dell’acqua
nel magma deve essere uguale al potenziale chimico dell’acqua
nel vapore. mmH2O = mvH2O (m=magma; v=vapore)
Come è espresso il potenziale chimico: DmH2O = Dm0H2O + RTln(avH2O/amH2O).
a è l’attività.
Quindi ln(avH2O/amH2O) = - Dm0/RT.
- Dm0/RT è costante e si indica con K.
Dm0 = DH0r - TDS0r + DVrP questo vuol dire che Dm0 è fissato
una volta che ho stabilito una P e T.
a = Xg dove X è la frazione molare e g l’energia. XmH2O
= K.
lnamH2O = -K; avH2O = e-k
La costante di equilibrio è dettata dal Dm0 di reazione. Se ho
una pressione di volatile esterna sputo fuori l’acqua perché
la quantità di acqua che è possibile tenere diminuisce.
ln(avH2O/amH2O)=K: se il numeratore diminuisce diminuisce anche il denominatore
perché il risultato deve rimanere costante.
Una mole d’acqua in fase vapore alla stessa temperatura del magma
ma a bassa pressione ha un volume 50 volte più grande di quando
non è in fase vapore. L’espansione si tramuta in un aumento
di pressione, che sottopone le rocce ad uno sforzo molto maggiore di
prima. La roccia può inarcarsi un po’, finché può
arrivare a rompersi. Ovviamente stiamo parlando delle rocce della camera
magmatica, perché i volatili liberati vanno verso l’alto.
Camere magmatiche nei carbonati si trovano di solito a 6km di profondità.
Il magma provoca la decarbonatazione delle rocce: si forma anidride
carbonica che tira fuori l’acqua dal magma. Aumenta così
la pressione nella camera magmatica e posso avere una bella esplosione.
Un magma può vescicolare anche se è in sottosaturazione
di acqua: basta avere una piccola cristallizzazione e l’intervento
dell’anidride carbonica, che abbassa la solubilità e tira
fuori l’acqua.
Da un certo punto della cristallizzazione in poi, per la coesione del
fluido, non avrò più frazionamento, ma i cristalli che
si formano vengono portati su con il fuso.
Il magma da solo può non farcela ad arrivare in superficie. Vi
sono delle condizioni esterne dettate dalla tettonica che aiutano il
magma nella risalita.
Nel campo
elastico la deformazione è recuperabile, finché non arrivo
al limite elastico. Nel campo plastico la deformazione è irrecuperabile,
il corpo rimane deformato anche se tolgo la sollecitazione.
s = K*(DL/L). Importante è anche il tempo. Tutto ciò in
condizioni di superficie. All’interno della Terra le cose cambiano.
Il limite elastico ci sarà per un valore di sforzo più
basso, ma in compenso si amplia il campo di plasticità perché
si innalza il limite di rottura. È il caso del mantello, dove
rotture e fratture sono molto difficili. La pressione aumenta il limite
di elasticità e quello di plasticità. La roccia quindi
si rompe più
facilmente a basse pressioni. Nella litosfera si formano infatti delle
fratture che per far risalire il magma devono aprirsi, devono cioè
essere estensive. Nel mantello e nella bassa crosta si ha risalita diapirica
senza la formazione di fratture.
Le fratture
si realizzano o dove il materiale si comporta rigidamente o al limite
tra comportamento duttile e fragile. Nei due casi comunque cambia la
risposta delle rocce. Nel primo caso (materiale rigido) le fratture
sono estensive, mentre al confine duttile – fragile ho una deformazione
con scorrimento di una parte rispetto all’altra (comportamento
tipico della crosta inferiore).
Lo sforzo litostatico lo scompongo in un sistema di riferimento tridimensionale.
Una forza
perpendicolare fa poco, tende a comprimere. Se invece è un po’
inclinata oltre ad una pressione esercita uno sforzo tangenziale che
comincia a deformare la roccia. La roccia si deforma per lo sforzo di
taglio e ad un certo punto può rompersi. In condizioni litostatiche
o idrostatiche i tre vettori s sono uguali. Se i s non sono uguali ho
uno sforzo differenziale: s 1 - s 3>0; s 2, intermedio, lo considero
meno. Lo sforzo differenziale è quello che crea la frattura delle
rocce, solo se c’è questi sforzo le rocce si fratturano.
Esiste un rapporto definito tra s n e t che porta alla fatturazione
della roccia.
Criterio di frattura: t2 – 4Ksn – 4K2: K è la coesione,
la forza che si oppone allo spostamento.
sn = (1/4K)*t2 + 4K2/4K Þ sn = (1/4K)*t2 + K: è l’equazione
di una parabola.
Tutti i
valori che soddisfano la parabola di cui sopra indicano tutti quei piani
che saranno piani di frattura. Saranno di frattura quei piani in cui
sn e t soddisfano l’equazione. Il sn può essere positivo
o negativo. Se è positivo lo sforzo è compressivo, e predomina
lo slittamento; se è negativo lo sforzo è trattivo, e
predomina l’estensione. Man mano che sn aumenta, aumentano lo
sforzo differenziale, s1 e s3. Allora vuol dire che sto procedendo verso
l’interno della Terra. Se ho la massima trazione (per un determinato
K di una roccia, che dipende da varie cose) non ho bisogno di avere
alcuno sforzo di taglio. s=0 è il limite delle condizioni trattive.
In condizioni trattive la frattura è perpendicolare allo sforzo
che ha modulo maggiore, ma in realtà è il minore perché
essendo trattivo ha il segno – davanti. In condizioni compressive
la frattura si forma, ma non si apre come invece avviene in condizioni
trattive, non ha beanza, ma solo scorrimento. Se il s3 è ancora
negativo, mentre il s1 è positivo ho ancora una componente trattiva
oltre a quella compressiva, e quindi le fratture un po’ si aprono
ancora. Le fratture estensive sono ottime per la risalita del fuso.
Il campo trattivo – compressivo va ancora bene, ma occorre uno
sforzo maggiore per la risalita.
Se in condizioni trattive – compressive arriva un magma, questo
crea grande pressione. La pressione fa diminuire il s e si può
così finire nel campo estensivo, con conseguente formazione di
fratture. La pressione magmatica quindi favorisce la fatturazione.
Condizioni compressive: sverticale<sorizzontale; condizioni distensive:
sverticale>sorizzontale.
Il regime
tettonico ha influenza sulla risalita e quindi determina o il platonismo
o il vulcanismo. Le fratture estensive comportano una beanza. Le fratture
dipendono dal comportamento reologico del materiale e dal tipo di sforzi
cui è sottoposto. Se ciascuna componente dello sforzo è
uguale siamo nel campo dello sforzo litostatico, che produce deformazioni
ma non fratture.
Se invece vi sono differenze tra le componenti (soprattutto s1 e s3)
vi è una disotropia e siamo nel campo dello sforzo differenziale,
che produce fratture. Non tutti gli infiniti piani della roccia si romperanno,
ma solo quelli in cui esiste un rapporto stabilito tra s (componente
normale) e t (componente tangenziale) secondo la funzione parabolica
di cui sopra. Sforzo normale e tangenziale provocano la fatturazione
solamente nel caso in cui la loro combinazione è un punto della
parabola.
Devo avere la beanza perché il fluido si intruda. Quando s1 e
s3 sono positivi ho ancora sforzo differenziale, ma solo la componente
compressiva e non quella trattiva che provoca la beanza, che quindi
non si verifica.
P è
la pressione magmatica. Il magma risale o perpendicolare o debolmente
inclinato. Nel campo rosso (vulcanismo areale) sia il sv effettivo (sveff.=sv-P;
soeff.=so-P) sia il so effettivo sono negativi. In queste condizioni,
caratteristiche di zone superficiali, le fratture si aprono abbastanza
facilmente e il magma può risalire. Si crea di solito un campo
di fratture che da luogo alla formazione di camere magmatiche ramificate
superficiali che danno a loro volta origine ad un vulcanismo areale,
come quello dei Campi Flegrei o dei Vulsini. Nel campo marrone (dicchi)
sv>P e so<P e quindi sv>so. Sto in condizioni distensive. In
questo caso si ha la formazione di dicchi, cosa che favorisce l’instaurarsi
del vulcanismo rispetto al plutonismo, perché il magma è
più facile che risalga piuttosto che ristagni. Per valori di
sv molto alti si avrà la formazione di faglie dirette, senza
la risalita di magma. Nel campo arancione (sills) sv<P e so>P
quindi so>sP. Sto in regime compressivo. Si avrà allora la
formazione di fratture orizzontali che porteranno alla formazione di
sills. Il magma tende ad accumularsi nelle fratture orizzontali dando
luogo alla formazione ad esempio di laccoliti. Il plutonismo è
quindi favorito rispetto al vulcanismo. Per valori di so molto elevati
si avrà la formazione di faglie inverse, senza la risalita di
magma. In tutto il resto del diagramma (campo bianco) non si ha risalita
di magma, ma al massimo di diapiri.
Il magma risale aprendosi un condotto che entro poco tempo va a regime
e diventa circolare. Arrivato i superficie non zampilla da tutta la
frattura, ma da uno o più punti precisi, ed esce con una certa
velocità che varia in funzione del gradiente di pressione, è
direttamente proporzionale alla differenza di densità tra magma
e rocce circostanti ed è inversamente proporzionale alla viscosità
del magma. Il magma può uscire fuori in continuità (eruzioni
effusive) o frammentato (eruzioni esplosive).
Nel caso delle eruzioni effusive si ha una fuoriuscita iniziale con
piccoli episodi esplosivi. Questo perché per aprire la frattura
ci vuole una certa pressione. Si formano quindi fontane di lava (nel
caso in cui vi sono scarsi volatili) che in media arrivano a 200 –
300m di altezza. Nella fontana si formano dei brandelli di lava che
sono abbastanza grandi da non solidificare interamente mentre sono in
volo, così che cadendo a terra si spiattellano e si saldano gli
uni agli altri. La ricaduta si ha non lontano dalla bocca effusiva.
Questa dinamica porta alla formazione di coni e bastioni di scorie saldate.
Il tutto è ricaduto caldo e quindi il materiale deve aver viaggiato
poco.
La lava è magma degassato. Flusso lavico: Q=A*V. Vale in tutti
i casi di eruzione. Il flusso (Q) è uguale all’area di
emissione (A) per la velocità di emissione (V) ed è espresso
in m3/s. Il flusso generalmente non è molto elevato. Dal flusso
lavico dipendono la lunghezza e l’espansione di una colata (campi
lavici).
La lava esce e va verso il basso, allontanandosi senza un’espansione
laterale eccessiva. L’espansione dipende dalla viscosità
e dalla forza di coesione della lava, cioè la sua capacità
di mantenersi unita senza spezzarsi o espandersi troppo. Quest’ultima
aumenta man mano che la colata procede, a causa del progressivo raffreddamento.
Questo è più veloce e forte tanto più la colata
è calda. Il raffreddamento aumenta la viscosità e la velocità
iniziale tende a diminuire, con conseguente tendenza alla cristallizzazione
ed a un aumento della coesione. I cristalli si formano in superficie
e la differenza di temperatura tra la lava e l’aria fa si che
si formino molti germi cristallini che però non possono accrescersi,
perché non ne hanno il tempo. Rimangono dunque dei cristallini
piccoli, che aumentano la coesione della lava.
Distinguiamo il canale e il fronte lavico. Per avanzare la lava deve
rompere la crosta che si forma in superficie e quindi al fronte avrà
una velocità inferiore a quella di emissione. La colata butta
avanti e lateralmente i frammenti di crosta, che vanno a formare degli
argini, una sorta di incanalamento dentro cui scorre la colata. Nel
caso in cui per la velocità e le caratteristiche della lava si
forma poca crosta superficiale noi vediamo un fiume rosso che scorre
dentro gli argini. Se la crosta si forma bene invece vedo gli argini
con sopra un cappello scuro, che è la crosta superiore della
colata, che continua a scorrere sotto. Questo anche a seconda del tasso
di emissione.
Può anche formarsi una bocca effimera, quando la lava esce lateralmente
rispetto agli argini da un ingrottamento. In questo caso bisogna stare
attenti perché non c’è una frattura che alimenta
direttamente la bocca effimera, è solo la lava che esce dal suo
condotto. Un ingrottamento è formato dalla crosta superficiale,
quando la parte superiore di una colata solidifica, ma sotto continua
a scorrere la lava ancora alimentata. Quando poi l’alimentazione
finisce il condotto si svuota e la crosta può crollare se non
è sufficientemente spessa.
La morfologia superficiale della lava può essere coriacea, cioè
a blocchi ricchi di vescicole, blocchi che si formano sotto la trazione
della lava che scorre sotto il crostone superficiale nel caso di magma
più viscoso. Se la viscosità è minore troviamo
la lava a corde, dovuta sempre alla trazione della lava sottostante
la superficie. In quest’ultimo caso la morfologia è continua,
mentre nell’altro è a blocchi che rendono difficile il
cammino. Nella lava a corde non vedo vescicolarità, non perché
non c’erano i volatili, ma perché quando i volatili sono
stati rilasciati i vuoti sono stati riassorbiti a causa della minore
viscosità della lava. Nel magma più viscoso non favorisce,
una volta che si sono formati i vuoti, un loro riassorbimento, perché
la lava è più rigida e le forme si conservano. Tra queste
due morfologie generali vi possono essere tutte le forme intermedie.
Una unità lavica è costituita da magma emesso e consolidato
in continuità.
Il terreno pone resistenza allo scorrimento della lava e la prima lava
che scorre si raffredda e frammenta alla base. Il letto di scorrimento
è quindi dato da lava frammentata. Segue poi il corpo compatto
della colata lavica. Il letto può risultare arrossato rispetto
al corpo, perché inizialmente ha un raffreddamento abbastanza
veloce con inglobamento di aria ma poi si mantiene caldo a lungo e questo
la trasformazione del ferro bivalente in trivalente, che da la colorazione
rossiccia. Questo non avviene nel corpo della colata, che si raffredda
lentamente ma non ingloba aria esterna.
Se un’altra unità di flusso va sopra la prima vuol dire
che questa si era raffreddata. Posso distinguere le due unità
dalle brecce di letto di una o dalla crosta superiore dell’altra,
tranne che nel caso di lave molto fluide, in cui comunque qualche discontinuità
si nota.
Lave più fluide ovviamente si espandono e avanzano di più,
oltre che più velocemente, di lave meno fluide. Lave riolitiche
viaggiano molto lentamente e possono addirittura non scorrere affatto,
dando luogo a grossi accrescimenti (caso più frequente). Nel
caso di un Q basso lave riolitiche, a causa dell’alta viscosità,
danno luogo alla formazione di una cupola. Il magma che continua a spingere
sotto provoca l’innalzamento della cupola e una sua fatturazione,
con formazione di brecce che cadono verso la base. Il doma si accresce
dall’interno, per la spinta interna. Per conseguenza di ciò
troveremo i prodotti più giovani verso il nucleo del doma, quelli
più vecchi verso l’esterno. Non si formano colate. La stessa
dinamica può avvenire nel caso di un raffreddamento estremamente
rapido, come in condizioni sottomarine.
Nel caso di Q alto il doma si accresce dall’esterno, perché
rimane una fessura centrale da cui fuoriesce il magma, che può
anche dare luogo alla formazione di piccole colate. Per questo motivo
i materiali più giovani si trovano verso l’esterno del
doma e viceversa.
Viscosità,
flusso e cristallinità sono le caratteristiche che determinano
la formazione di una crosta liscia o a blocchi. Lave scoriacee hanno
un rapporto lunghezza – spessore minore delle lave fluide, il
che vuol dire che sono più spesse. Lave riolitiche ad esempio
hanno uno spessore molto grande rispetto alla lunghezza, presentano
circonvoluzioni e vi si possono ritrovare delle fatturazioni.
Se nel corso di una eruzione una colata lavica presenta un flusso meno
elevato che nelle fasi iniziali, gli argini dentro cui scorre la colata
risultano più alti della colata stessa. Un campo di lava è
costituito da diversi flussi molto fluidi che vanno a ricoprirsi tra
loro ricoprendo quindi una vasta area.
Flusso – chimismo – topografia – ipotesi di cristallizzazione
sono i dati che ci servono per prevedere come si comporterà una
colata, quali saranno i suoi parametri. Le lave non rappresentano di
solito un grosso rischio per l’uomo perché raramente raggiungono
velocità che in assoluto possono rappresentare un pericolo. Sono
le infrastrutture che corrono i rischi maggiori. Per ovviare a questi
problemi si può ad esempio deviare una colata con dei bastioni.
I magmi rachitici portano alla formazione dei doma. Questi hanno di
solito la base arrossata, a causa della formazione di ossidi trivalenti
per la deposizione di qualcosa di molto caldo su qualcosa che contiene
acqua. Della roba giallastra indica invece delle temperature più
basse e la formazione di idrossidi. Il doma ha una morfologia convessa,
diversa da quella di un vulcano che invece ha un profilo concavo, e
si possono così distinguere facilmente. Presenta inoltre delle
strutture di raffreddamento, come ad esempio dei giunti.
I dicchi alimentatori si riconoscono perché vengono divergendo
verso l’esterno, sono di grandi dimensioni e sono indice di tettonica
fortemente distensiva.
Non tutte le colate si fessurano in colonne più o meno regolari,
dipende dal chimismo in relazione al raffreddamento. A parità
di chimismo il numero di lati del poligono che costituisce le colonne
è crescente con la velocità di raffreddamento. Per raffreddamenti
molto rapidi si arriverà a figure rotondeggianti, con sfogliamenti
cipollari. Gli sfogliamenti sono dovuti al fatto che lo strato esterno
si raffredda molto velocemente, mentre la lava interna rimane calda.
Sfogliamenti di questo tipo sono tipici di un raffreddamento in acqua.
Si è appurato che il raffreddamento causa la formazione delle
colonne, e che quelle ben formate corrispondono ad un raffreddamento
rapido di magmi molto caldi. Ma il modo in cui si creano le colonne
ancora non si sa.
Eruzioni
esplosive. L’altezza della colonna eruttiva dipende dal calore
e quindi dalla quantità di materiale emesso.
Il getto tende ad allargarsi e a non essere di forma cilindrica perché
il cratere è più largo del condotto. In vulcani che hanno
subito eruzioni francamente esplosive il cratere è aperto. L’erosione
aumenta salendo nel condotto. Se troviamo un vulcano con il cratere
più rettilineo possiamo dedurne che la velocità di eruzione
è minore o che si alternano eruzioni esplosive ed effusive, che
creano un cratere non molto aperto. Nel getto la velocità molto
forte è data dall’espansione dei gas.
dPV=PdV+VdP dove VdP è la depressurizzazione e PdV è la
variazione di volume, che è un lavoro che possiamo tradurre in
variazione di energia cinetica: 1/2mV2. La velocità iniziale
è 0. Maggiore è il dV maggiore sarà la velocità.
La velocità nel getto è massima all’inizio, poi
tende a diminuire. Se non subentra la convezione la colonna ricade giù
perché è ancora troppo densa. Sassoloni grossi e densi
(meno vescicolati) cadono vicino al punto di emissione. La caduta di
questi sassi fa si che la colonna diventi meno densa. La colonna continua
ad espandersi solo se la velocità è sufficiente a creare
una depressurizzazione che ingloba aria che va verso l’alto portando
con se il materiale.
Nella zona convettiva la velocità massima è al centro
(è descritta da una gaussiana). Nella colonna si ha una selezione
granulometrica e di densità, con i clasti più grossi che
si trovano nella zona centrale a maggiore velocità e quelli più
piccoli all’esterno. Se a causa dei moti convettivi i clasti grossi
finiscono nelle zone esterne tendono a cadere verso il basso. Alla fine
i clasti vengono ceduti e quello che arriva sopra è piccolo.
Quando la densità diventa uguale a quella dell’aria circostante
la colonna non sale più e si espande lateralmente perché
ha ancora una certa velocità.
Se la colonna crolla, allora lo fa subito, al limite getto – convezione,
altrimenti si formano convezione ed espansione sommatale. Le colonne
che collassano non arrivano quindi molto in alto.
Man mano che la colonna si sviluppa si allarga. Se l’eruzione
non è molto forte la colona si amplia poco con la conseguenza
che se cadono dei clasti lo fanno nelle vicinanze della bocca. Se però
la colonna si amplia di più, quindi è più alta
perché l’eruzione è più forte, i clasti possono
ricadere per distanze maggiori, quindi l’area di dispersione è
maggiore. L’area di dispersione può quindi essere usata
come indice della grandezza dell’eruzione. Se la colonna non è
molto alta è poco il materiale emesso, il materiale disperso
lo trovo vicino al centro di emissione e si crea la morfologia conica,
il cono.
Man mano che il materiale ricade, quello più denso e grande si
accumula nelle vicinanze, anche se la colonna è alta. I materiali
un po’ più piccoli ricadono un po’ più lontano
e così via. Questo crea una classazione orizzontale nei depositi
di ricaduta in funzione della distanza. Ma c’è anche una
classazione verticale perché tendenzialmente un’esplosione
ha una maggiore velocità all’inizio e poi tende a diminuire.
Il deposito sarà gradato (classato) in modo diretto, se la velocità
iniziale è maggiore della velocità finale, ma può
esserlo anche in modo inverso.
La gradazione è inversa se la velocità iniziale è
minore di quella finale. Questo può avvenire perché il
condotto inizialmente era ostruito e l’energia iniziale è
stata consumata nella rottura dell’ostruzione oppure perché
l’eruzione in un secondo momento ha interagito con l’acqua
diventando freatomagmatica.
L’eruzione esplosiva è costituita da più esplosioni
ognuna delle quali produce un deposito e quindi alla fine i prodotti
saranno stratificati, dove ogni strato sarà stato prodotto da
un’esplosione. Lo spessore degli strati indica la grandezza delle
singole esplosioni.
Le colonne eruttive possono rimanere sostenute per del tempo. Quella
del 79 D.C. del Vesuvio rimase sostenuta per 24h. Poi la colonna può
cessare o collassate se ha ancora molto materiale ma la velocità
è ormai troppo bassa per sostenerlo. Un’eruzione pliniana
(quindi sostenuta per del tempo) mi crea una bancata dove è difficile
vedere la gradazione perché essendo sostenuta per parecchio tempo
in una stessa zona continua a scendere sempre lo stesso materiale.
Il pennacchio è influenzato dai venti e può non essere
simmetrico. Questo comunque dipende anche dall’energia dell’eruzione.
Se la colonna è poco energetica e vi sono forti venti infatti
viene spostata e non sale più in verticale. Se con forti venti
la colonna e il pennacchio non vengono deviati allora l’eruzione
è molto forte. Se la colonna è poco energetica e tirano
forti venti l’area di dispersione è spostata.
Se trovo più classi di grandezza rappresentate in modo ricorrente
allora ho esplosioni molto ravvicinate. Più alta è la
colonna, minore è la gradazione verticale. Allontanandosi dal
centro di emissione diminuiscono dimensioni e quantità di materiali.
I depositi mantellano la topografia precedente. Se prendiamo aree ristrette
quindi lo spessore dei depositi è costante anche su morfologie
accidentate. Se la pendenza supera i 35° però i depositi
scivolano, e non c’è continuità tra gli strati orizzontali
e quelli scivolati. I clasti juvenili, che sono parte del magma che
è stato eruttato, sono costituiti dalla consolidazione del magma
che ha generato l’esplosione. Sono più o meno vescicolati,
di forme non nette ma tendenzialmente aerodinamiche per quelli più
grossi, sufficientemente rotondeggianti. I clasti però possono
spezzarsi una volta diventati solidi, tipicamente le pomici nelle eruzioni
pliniane, assumendo spigoli vivi.
Altri prodotti juvenili possono essere cristalli strappati dal magma
e sparsi nel deposito, che mi danno anche una indicazione sul livello
di cristallizzazione del magma. Altro materiale è strappato dalle
pareti del condotto, e lo trovo a spigoli vivi, non vescicolati. Quest’ultimo
materiale è precedente all’eruzione (possono prendere il
nome di xenoliti) e non devono essere quindi confusi con i materiali
juvenili.
Nei depositi piroclastici se trovo tra il materiale non juvenili rocce
prive di metamorfismo di contatto o metasomatismo, ne deduco che non
facevano parte della camera magmatica.
Troviamo anche la gradazione per densità: i clasti più
pesanti (densi) stanno in basso e viceversa. Questo è indice
di deposizione subacquea. Se i più densi sono in basso ma i meno
densi non sono concentrati in alto la deposizione è subaerea.
In una successione di strati se troviamo in un punto una particolare
concentrazione di litici non connati (non facenti parte del magma) bisogna
relazionare tale concentrazione ad un crollo di qualcosa, come il condotto
o la camera magmatica, cosa che può avvenire se è uscito
molto materiale come nelle eruzioni pliniane.
I clasti sono classificati in vario modo, di solito in base alla granulometria:
Bomba connato juvenile
Blocco non juvenile, già consolidato prima
Lapilli connati o non connati
Lapilli cristallini connati
Ceneri più o meno sottili (sotto 2 mm)
Le eruzioni pliniane portano alla formazione di clasti molto vescicolati.
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